De Crescenzo: “Macchè piagnoni, al Nord sanno fare ironia solo con Totò!
Il professor Bellavista, al secolo Luciano De Crescenzo, scrittore e regista di successo, interprete dell’ animus neapolitanus, di fronte alle contumelie che arrivano ai tifosi del Napoli, la prende con filosofia. Rispedisce le accuse al mittente, ai giornali che in questi giorni irridono alla proteste la conduzione dell’ arbitraggio della semifinale di Coppa Italia tra azzurri e bianconeri. Il messaggio è chiaro: «Bisogna essere superiori». E non cadere nella trappola della facile contrapposizione. Ma soprattutto reagire come san Gennaro quando lo declassarono.
Dopo la sfida Juve-Napoli, Napoli e i napoletani sono sbeffeggiati ancora una volta perché protestano per un arbitraggio giudicato scandaloso. Sono accusati di essere lamentosi. Siamo davvero così? «Da sempre sono convinto che Napoli non è una semplice città, è una componente dell’ animo umano. Ora, questa componente la si può trovare in tutte le persone, napoletani e non. Forse, e sottolineo forse, chi definisce i napoletani lamentosi ne è privo».
Tirano in ballo persino Totò e parafrasando la celebre battuta con un «ma fateci il piacere». Totò usato contro Napoli. Non le sembra un paradosso? «Tutt’ altro. Evidentemente, sebbene critichino i napoletani, non possono fare a meno del loro umorismo».
Perché non hanno personaggi altrettanto universali? «Anche per questo, certo. Ma noi sappiano essere autoironici e quindi diventare un simbolo per tutti, persino per chi vorrebbe castigarci».
Il calcio è un mondo dove insieme al tifo ci si sfoga con gli stereotipi. Non le dà fastidio? «Se si cerca il termine stereotipo sul vocabolario, tra i suoi significati si troverà impersonale, inespressivo. Ebbene, se c’ è un sentimento che non può essere considerato né impersonale né inespressivo è proprio il tifo. E non l’ ho definito sentimento a caso. Per chi non lo sapesse, il tifo è la più alta forma d’ amore che un individuo possa provare. L’ amore per una donna può finire, quello per la squadra del cuore no».
Come risponderebbe il professor Bellavista a chi dà del lamentoso ai napoletani? «Probabilmente con lo stesso invito che i napoletani fecero a san Gennaro quando la Chiesa di Roma mise in dubbio la sua esistenza: Futtatenne!».
Siamo ancora la terra dell’ amore contrapposta al nord, terra della libertà? «In questo particolare periodo storico in cui c’ è chi propone di alzare nuovi muri, non parlerei di contrapposizioni, ma di peculiarità. Il nord e il sud sono sì diversi, ma restano sempre due facce opposte di una stessa medaglia. E poi, se ci pensi bene, i meridionali che oggi vivono al nord sono così tanti, che delimitare il confine tra terra d’ amore e terra di libertà è davvero difficile».
Invece l’ altra accusa che ci viene rivolta è quella di essere diventati degli odiatori. Me le pare mai possibile? «Definire i napoletani degli odiatori mi sembra eccessivo, eppure, quando leggo alcuni episodi di cronaca che interessano la città, non posso negare che mi viene da chiedere dove sia finito tutto quell’amore che, parafrasando il professor Bellavista, può rendere Napoli l’ ultima speranza per l’umanità per sopravvivere».