LA STAMPA – Insigne e Bacca solo gli ultimi: quella moda di mandare l’allenatore a quel paese!
Non che Chinaglia o Baggio avessero ragione. Però. Però i due stavano giocando un Mondiale e allora li puoi anche capire se gli girano le scatole quando vengono sostituiti. Così quel vaffa a Valcareggi e quel «ma è impazzito?», anatemi in mondovisione scagliati contro i ct, in fondo un minimo di giustificazione potevano anche averla. Tutti sono uguali ma qualcuno è più uguale degli altri, diceva quel visionario di Orwell che non ha mai fatto l’allenatore di pallone, pur se gli stadi frequentava, e forse non aveva tutti i torti.
Sono gli uomini che fanno le situazioni e non viceversa. Roberto Baggio se la poteva permettere una sbroccata simile, Graziano Pellè no. E come lui nemmeno Lorenzo Insigne o Carlos Bacca, giusto per citare gli ultimi tre casi di insubordinazione gestuale prima ancora che verbale. Perché ormai quella che era un’eccezione sta diventando una regola. O forse una moda. Vedere il proprio numero di maglia su quella lavagnetta luminosa scatena istinti ingiustificabili (e ingiustificati) se la figura dell’allenatore ha ancora un senso.
E visto che ancora ce l’hanno non è chiaro che cosa vogliano dimostrare i ragazzotti viziati con la loro insubordinazione. Carattere? Personalità? Autorevolezza? O solo incapacità di adeguarsi a una regola vecchia se non come il mondo almeno come il pallone: bene o male, tanto o poco, l’allenatore è pagato per decidere. E anche per sbagliare le decisioni e le sostituzioni. Azzardando, ci viene il dubbio che stia diventando un modo plateale per replicare alla nuova tendenza adottata da molti tecnici: quella di mettere in piazza i difetti di un giocatore ignorando il concetto di gogna pubblica o, peggio, pensando che possa valere come incentivo nei confronti dello stesso.
Quindi: mi svergogni in diretta? E io ti mando a quel paese allo stesso modo. Allargando, e forse azzardando anche, si può tirare in ballo una società in cui le regole sono saltate. C’era una volta l’insegnante che rimproverava l’alunno e questi non fiatava; il pedone che chiedeva strada all’automobilista e questi non insultava; il condomino che chiedeva al vicino di cessare il fracasso e questi non sparava. Ora non più. Più che precostituita, l’autorità è post sbugiardata.
Così l’allenatore. Che se poi è Conte non fa un plissé quando deve strigliare Pirlo (ricordate?, filò dritto nello spogliatoio senza passare dalla panchina), se è Montella la prende ugualmente male ma con più filosofia («Con Bacca ci vedremo martedì») e se è Sarri smadonna e tira due scudisciate a Insigne («Deve stare zitto e basta»). Non è fondamentale essere intelligente per fare il calciatore, ma aiuta. E più sali di livello, più aiuta. A pallone si gioca in undici e quel signore in panchina decide chi lo merita: rifiutargli la mano al cambio o voltargli le spalle è un atto di presunzione. È una clausola non prevista dal contratto, nemmeno il potente Raiola avrebbe il coraggio di pretenderla: non porta soldi. Ergo è inutile e sa solo di mancanza di rispetto.
di Paolo Brusorio – La Stampa