Pecchia: “Benitez a Napoli si è fidato di un amico e mi ha portato con sè. Su Higuain dico…”

Fabio Pecchia, allenatore del Verona ed ex azzurro, ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera: «La finale del 1998. Ero in tribuna e ho rosicato: era la prima volta in cui non andavo neanche in panchina. Da allenatore poi capisci tante cose».

La finale ora come la vede?
«Bella. E aperta. Questa Juventus è molto forte. Ma il Real ha giocatori che vivono queste sfide con la naturalezza dei grandi».

A Torino esci diverso da come entri?
«È esattamente così. Ma vale anche per il Real Madrid: in certi ambienti anche l’ addetto alla sicurezza o l’ autista del pullman è abituato a vincere e si percepisce. Le vittorie sono contagiose».

CR7 è il più contagiato?
«È un super professionista, continuamente alla ricerca di nuove vittorie. Alle grandi qualità che possiede, aggiunge il fuoco che ha dentro».

Lasciare il Real Madrid con Benitez esonerato è un’ amarezza che resta?
«Sì. Una grande amarezza. Abbiamo chiuso il girone di Champions al primo posto, ma c’ erano difficoltà ambientali evidenti. Quella squadra però poi ha vinto in Europa con giocatori per i quali noi venivamo criticati: oggi Casemiro mi sembra diventato un punto di riferimento. O no?».

Come conobbe Benitez?
«Ero innamorato del suo Liverpool e quando lui è arrivato a Napoli si è fidato di un amico che gli ha parlato bene di me. Così è nato un grande rapporto. Anche lui subisce spesso delle critiche. Ma il suo curriculum parla da solo: nel suo lavoro c’ è tanta sostanza».

Da Casemiro a Cassano. Con Pazzini all’ Hellas sarebbe una coppia vincente?
«Non lo so. Leggo, sento. Vediamo. Di sicuro per la A bisogna strutturarsi in modo sostanzioso».

Sogni: un giocatore che le piacerebbe allenare?
«Dico Dybala. Con Higuain forma una coppia perfetta».

Lei il Pipita lo ha conosciuto al Napoli. Anche lui combatte contro certe etichette, come quella di non essere decisivo nelle finali? «Gonzalo è cresciuto moltissimo e ha numeri fuori dal normale, questo è evidente. Ma è arrivato il momento di consacrarsi e salire ancora di livello. Per farlo deve vincere questa Champions».

Zidane, con cui lei ha giocato alla Juve, è un vincente anche in panchina. Non tutti i campioni ci sono riusciti.
«Lui è la classica eccezione che conferma la regola. Ma mi soffermo su un fatto, quello dell’ esperienza: lui dalla B è passato al Real, come Guardiola. Sono talenti, ovvio. Ma da noi a 45 anni sei ancora considerato un giovane».

Il suo sogno da allenatore?
«Vincere dei titoli».

Ha riportato il Verona in A: è un campionato che le ispira più entusiasmo, curiosità o paura?
«Ho paura solo dei cani, anche dei chihuahua. E non so perché. Il sentimento giusto è la curiosità: fino a due anni fa, al Napoli come vice Benitez ci lavoravo. E ho voglia di mettermi alla prova da solo».

Lei è laureato in Giurisprudenza. È vero che ripeteva le lezioni prima degli esami a voce alta in spogliatoio?
«Sì, mi serviva avere davanti qualcuno. Le prese in giro non mancavano, ma qualcuno era anche interessato. Quel che conta è che gli esami non finiscono mai».

Calciatore da 337 presenze e 41 reti in A, commentatore tv, laureato, assistente, allenatore capo. Ma chi è Fabio Pecchia? «Un papà di tre figlie, un marito, un professionista appassionato. Uno che ha imparato di più dalle esperienze negative che da quelle positive: la vittoria è deformante».

La sua idea di gioco qual è?
«Non sono un presuntuoso, ma voglio che la mia squadra sia sempre consapevole di quello che deve fare. Che non vada in campo e pensi: “Vediamo che succede”. Questo no».

Nel calcio delle etichette lei è quello «troppo educato». Come la mettiamo?
«È una delle critiche che ho ricevuto. Ma ognuno nel suo lavoro ci mette il suo passato, la sua cultura. Dimostrare di poter vincere anche così mi fa ancora più piacere».

Perché?
«Il calcio ha troppi schemi fissi: l’ allenatore non è un politico che deve convincere la gente. E quello che appare è solo una parte. Bisogna convincere un gruppo di lavoro, andando in profondità».

Che schemi fissi ha rotto?
«Ho messo l’ allenamento al mattino, ho abolito il ritiro prima di diverse partite: all’ estero ho conosciuto abitudine diverse che possono portare dei vantaggi».

Ultimo libro letto dal laureato Pecchia?
«Pensieri lenti, pensieri veloci del Nobel per l’ Economia Daniel Kahneman. Non c’ entra col pallone. Ma si può applicare a tutti gli aspetti della vita. Perché noi alleniamo anche il pensiero. E il calcio si evolve».

Come?
«Al centro ci deve essere la persona. L’ empatia con l’ atleta è fondamentale».