Pisacane: “Napoli non è solo quello che la gente vede in superficie. All’andata che figuraccia…”

Fabio Pisacane, calciatore napoletano del Cagliari, ha rilasciato un’intervista sulle pagine della Gazzetta dello Sport, raccontando la sua infanzia ai Quartieri Spagnoli: «Rincorrevo il pallone e non guardavo mentre attraversavo. Sa come sono fatti i Quartieri, no? Vie piccole, strette. Un carretto delle granite mi prese in pieno».

La sua Napoli? «Partitelle fino a tardi a Largo Baracche, i pali fatti con le maglie. Con il caldo ci spostavamo in Galleria Umberto, papà veniva a prendermi di notte ma io non volevo smettere, mai. Era la mia unica valvola di sfogo». 

Il suo non era un quartiere facile, teatro in quegli anni di una sanguinosa faida di camorra. «E neanche la mia è stata un’ infanzia facile. Devo ringraziare il calcio se sono riuscito a evitare certi contesti e certe dinamiche, altri questa possibilità non l’ hanno avuta. Di quelli che conoscevo alcuni sono morti ammazzati, altri sono in galera, ma c’ è pure chi si alza presto la mattina e lavora duro».

Quartieri Spagnoli uguale delinquente: non le dà fastidio questa equazione?
«Sono permaloso, da ragazzo la soffrivo molto. Anche se si parlava in generale, la prendevo sempre sul personale. Spero che la mia storia possa essere da esempio: Napoli non è solo quello che la gente vede in superficie».

Tra lei e Insigne sarà un bel duello Made in Naples.
«Lo conosco, lo apprezzo molto. L’ andata me la ricordo ancora, io marcavo Callejon e la sentivamo molto, perderla 5-0 in casa ci ha fatto male. Stavolta vogliamo almeno rimediare a quella figuraccia».

Tra le tifoserie non corre buon sangue…
«A Cagliari sono un ospite e non mi permetto di entrare in queste dinamiche. Dico solo che per me il calcio deve unire. Un giorno mi piacerebbe vedere tifosi di Cagliari e Napoli girare mano nella mano, come fa mio figlio all’ asilo con i suoi compagni cagliaritani».

Le piace il Napoli? «Gioca il calcio più bello d’ Italia. Sarri è un maestro, ha portato aria nuova in Serie A».

Al San Paolo da quando mancava?
«L’ ultima volta che ci sono andato era con la mia fidanzata, che poi sarebbe diventata mia moglie. Sa che partita era? Napoli-Cagliari 0-2, segnarono Matri e Foggia…».

Ripercorriamo le tappe dei suoi inferni. Nel primo cascò dentro a circa 15 anni.
«Ero appena arrivato nelle giovanili del Genoa. Una mattina mi alzo, voglio togliermi il pigiama ma le braccia non funzionano, non rispondono. Mi portano all’ ospedale di Savona, mi fanno gli esami: sindrome di Guillain-Barré. Un medico fa: “Lavoro da 30 anni e non ho mai visto un caso così”. Chi se ne fregava del calcio, c’ era in ballo la vita».

Come sconfisse quel demone? «A un certo punto mio padre chiede a un dottore quando potevo riprendere a giocare e quello risponde “Non credo che possa”. Non mollo, torno a Napoli, faccio fisioterapia. Appena mi sento meglio chiamo Onofri, responsabile delle giovanili. Si sorprende, non se l’ aspetta, ma mi dice che mi avrebbe portato a Dusseldorf per un torneo con quelli di due anni più grandi. Ci vado, e mi premiano come migliore. Due anni dopo sono nel giro della prima squadra, e una notte sento bussare alla mia camera».

Chi era? «Diego Milito. L’ avevano appena preso. Ero in stanza da solo, mi è toccato ospitarlo e dargli il benvenuto».

Col senno di poi come ricorda quei tempi?
«Con orgoglio. Ci ho scritto un libro e vorrei anche farci un breve film animato, per i più piccoli. Ne parlavo poco tempo fa con Franco Causio, l’ ho incontrato a Udine, un uomo eccezionale. Anche lui ha avuto il mio stesso male e ho sentito un certo legame, quasi come fosse una persona di famiglia».

Secondo inferno: scommesse. Nel 2011 denunciò un tentativo di combine, per tutti fu un eroe.
«Mi hanno etichettato così, ma credo che tanti altri calciatori avrebbero fatto come me. Sono stato abituato a vedere sempre la parte buona delle cose».

Cinque anni dopo, però, si è ritrovato accusato in un altro filone scommesse, da cui è stato appena prosciolto.
«Esatto. Prosciolto, non assolto. Due cose ben diverse. Non aggiungo altro, alla fine il tempo è il giudice migliore».

Senza queste difficoltà sarebbe stato un calciatore diverso?
«No. Sono Fabio Pisacane, prima come ora. Ho una moglie stupenda e due figli che sono la mia Champions. Abbracciare loro vale più di ogni trofeo».

Veniamo a Cagliari. Rastelli l’ ha voluta a tutti i costi l’ anno scorso, avete vinto il campionato ed eccola in A a 31 anni. «A Rastelli devo tanto, ha creduto in me come uomo e mi ha scelto per una missione, vincere una B durissima. Ho giocato in un ruolo nuovo, terzino destro, e ho fatto di tutto per farlo al meglio. Nessuno mi ha regalato niente, ho sempre pensato che in A potevo arrivarci solo vincendo un campionato. Quindi Cagliari la considero la mia università, qui ho imparato tanto e coronato un sogno».

Numeri alla mano, il suo reparto ogni tanto sbanda: 1,88 gol subiti di media a partita sono tanti.
«Su 34 partite,dietro ne abbiamo sbagliate forse sei. Se in quelle non avessimo sbandato parlereste di noi come di una squadra quasi perfetta. Ma da neopromossa abbiamo fatto 41 punti a 4 giornate dal termine, nonostante un sacco di infortuni. E non mi pare poco».

Lei è un underdog, uno che non ci si aspettava e che ha sorpreso tutti. Ci fa una formazione di gente che per lei merita la A e non si è mai affermata? «In porta Frattali. Centrali Brighenti, uno che non si è mai arreso davanti a mille difficoltà, e Bergamelli. Terzini: a destra Abbate, a sinistra Pini, che era con me a Lumezzane e ha smesso per andare a lavorare in fabbrica. In mezzo Arini, Di Deo da play e Iovine mezzala sinistra. Davanti Galabinov, Lauria, talento straordinario, e Litteri. Allenatore Verdelli».

Il sogno della A l’ ha coronato. Gliene restano altri?
«Quello che hanno tutti i bambini: la Nazionale. E io di sognare non ho mai smesso».