Il punto – “Sarri è l’ultimo dei sacchiani, arricchisce l’Italia. Merita tempo e rispetto!”

Del gioco di Sarri mi piace tutto: è l’ultimo dei sacchiani, ma in lui non vedo tracce di integralismo. Il modulo di gioco è un prudente 4-­5-­1 (io considero questi numeri esclusivamente nella fase difensiva, la maggioranza dei colleghi preferisce parlare di 4­-3-­3, che è lo schieramento d’attacco), a cui è arrivato dopo gli stenti iniziali della scorsa stagione. Dà la stessa copertura del 5-­3­-2 di Conte-­Allegri, ma sposta il massimo della fatica dai terzini alla Lichtsteiner agli esterni d’attacco come Insigne­-Callejon, che in fase di non possesso devono farsi vedere e sentire fin sulla propria linea di fondo. Finché i due reggono, è uno spettacolo.

La fase difensiva è, sempre a mio parere, la più europea fra quelle proposte dalle nostre squadre. Il Napoli gioca bene. Il che non significa che possa e debba vincere sempre: lo stacco della qualità della rosa rispetto alla Juve e alla Roma resta molto alto. L’usura è elevata. Lei parlava di bonus esaurito: non sono d’accordo. Proprio gioco e risultati costituiscono le migliori credenziali del tecnico, a cui va data fiducia piena, al riparo di erosioni interne ed esterne (cioè società e tifosi). Non mi sembra strano che per entrare in questo meccanismo piuttosto sofisticato si debba passare per un periodo di apprendistato. Può essere che l’insistenza di critica e ambiente per ritoccare la formazione sortisca l’effetto opposto nelle decisioni di una personalità forte.

Un tecnico del genere me lo terrei stretto ed eviterei di scaricargli addosso aspettative esagerate. Che cosa si vorrebbe da lui esattamente? Dicevo che non mi pare di intravedere nel lavoro di Sarri particolari impuntature: l’anno scorso ha mostrato grande flessibilità. Per esempio col cambio di modulo in corsa, e con l’accantonamento di Valdifiori, un pupillo che s’era portato da Empoli. Non avrei dubbi sul fatto che se e quando si accorgerà che il baby Diawara offre più garanzie di Jorginho, acclamatissimo uomo ovunque del centrocampo arrivato fino alla Nazionale, farà le sue scelte come in passato.

C’è invece un risvolto comportamentale, apparentemente di poco conto, che non mi piace del tecnico. Soprattutto il linguaggio nelle occasioni pubbliche: levigato come un foglio di carta vetrata, ricco di inutili volgarità, dette con troppa leggerezza, e scambiate per spontaneità. Naturalmente non si va in prigione per questo, ma non parliamo di toscanismo, per favore: esprimersi in modo più pulito fa bene ai propri argomenti, rende tutto più comprensibile e magari offre qualche modello positivo ai più giovani.

L’ultima risorsa del comico per far ridere è la parolaccia: lasciamogli volentieri questa opzione dei mediocri. L’altro aspetto negativo è un certo indulgere alla lagna e al complottismo che arriva fino a quel «è più facile cacciare un allenatore in tuta che uno in giacca e cravatta». Se fosse così mi presenterei in smoking in panchina e così mi creerei un vantaggio sul collega. Uno che arricchisce il calcio italiano come Sarri, non può imbucarsi in quei pensieri.

di Franco Arturi – La Gazzetta dello Sport